Modifiche al codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: possibili riflessi sulla disciplina dei contratti pubblici.

1. Lo schema di decreto legislativo recante modifiche al codice della crisi di  impresa e dell’insolvenza.

Il 17 marzo 2022 è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo schema di decreto legislativo recante modifiche al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14 (schema di d.lgs.).

Lo stesso giorno lo schema di decreto legislativo è stato trasmesso alle Commissioni parlamentari ed il giorno seguente, con nota prot. 2878, al Consiglio di Stato, che si è espresso con il parere n. 832 reso dalla Commissione speciale lo scorso 13 maggio 2022[1].  

Lo Schema di decreto legislativo è volto al recepimento della direttiva 2019/1023/UE «riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza)».  

L’attuazione della direttiva 2019/1023/UE è stata inserita tra gli interventi prioritari previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza al fine di potenziare i meccanismi di allerta, di completare la digitalizzazione delle procedure anche attraverso la realizzazione di una piattaforma on-line e di specializzare gli organi competenti per le procedure concorsuali. Alcuni interventi, ritenuti prioritari, sono stati dunque già attuati con i decreti legge nn. 118 e 152 del 2021 i cui contenuti, per quanto di pertinenza, vengono trasfusi ora nel Codice con lo Schema di d.lgs.

In coerenza con i principi del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, (TFUE) il legislatore eurounitario mette a fuoco l’obiettivo della direttiva da rinvenirsi nella  tutela dell’esercizio delle libertà fondamentali, quali in particolare quelle della libera circolazione delle merci e della libertà di stabilimento – obiettivo comune peraltro alla direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, alla direttiva 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e alla direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione – per migliorare e rendere più efficiente il funzionamento dei mercati. La comunanza degli obiettivi e l’omogeneità degli interessi sottesi alla ricordata normativa sovranazionale richiamano l’attenzione sulla fisiologica e manifesta interdipendenza, da non sottovalutarsi, delle due discipline di settore: dei contratti pubblici e delle procedure concorsuali.

2. Termine di recepimento della direttiva e termine di entrata in vigore delle modifiche al codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.

L’art. 34 della direttiva 2019/1023/UE indica quale termine per il suo recepimento il 17 luglio 2021, salva opzione di proroga di un anno per gli Stati che motivatamente ne abbiano fatto richiesta entro il gennaio 2021 ai sensi dell’art. 32, § 2, della stessa direttiva, fra cui l’Italia, per la quale, dunque, il termine ultimo per il recepimento verrà a scadenza il prossimo 17 luglio 2022.

Anche per tale ragione si è reso possibile differire nuovamente il termine di entrata in vigore del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, dal previsto 16 maggio 2022, al prossimo 15 luglio. Tanto prevede infatti la modifica da ultimo apportata all’art. 389 c.c.i, rubricato «Entrata in vigore», ad opera dell’art. 42, comma 1, lett. a) del d.l. 30 aprile 2022, n. 36 recante «Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)»[2].

      Si segnala, al riguardo, che proprio al fine di consentire l’entrata in vigore di un testo armonizzato con le previsioni della direttiva 2019/1023/UE ed evitare aggiuntive problematiche di diritto intertemporale, l’art. 49 dello Schema di decreto legislativo allinea l’entrata in vigore delle modifiche da esso apportate al codice della crisi e dell’insolvenza alla data di entrata in vigore dello stesso codice, prevista dal primo comma dell’art. 389. Di tale ultima norma è stato peraltro soppresso, ad opera del già rammentato art. 42, d.l. 30 aprile 2022, n. 36[3] il comma 1-bis (inserito dall’art. 1, co. 1, lettera b), del d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla legge 21 ottobre 2021 n. 147) che rinviava al 31 dicembre 2023 l’entrata in vigore del Titolo II della Parte I, intitolato “Procedure di allerta e di composizione della crisi”.

 In effetti il Titolo II della Parte I, cui erano dedicati gli articoli dal 12 al 25 c.c.i., viene abrogato dallo schema di decreto legislativo e integralmente sostituito (dagli artt. 12-25 undecies inseriti dall’art. 6 dello schema di d.lgs.)mediante “recepimento” – sotto la modificata rubrica che recita “Composizione negoziata della crisi, piattaforma unica nazionale, concordato semplificato e segnalazioni per la anticipata emersione della crisi” – della più snella disciplina della «composizione negoziata» introdotta con il rammentato d.l. 24 agosto 2021, n. 118, e dunque – nella sostanza – già in vigore (sia pure con scarsa incidenza: secondo i dati resi noti da Unioncamere, il numero delle istanze di composizione negoziata della crisi presentate a livello nazionale al 18 maggio 2022, sarebbe pari a 217).

3. Pericolo della crisi e accesso alle misure di risanamento.

Da tal blocco di norme emerge la preoccupazione del legislatore di tenere energicamente desta l’attenzione dell’imprenditore sul proprio stato di salute in modo da riuscire a fronteggiare e ad arginare tempestivamente non solo lo stato di crisi ma, ancor prima, la stessa probabilità della crisi.

       Ove si superi l’impressione di una struttura normativa “a scatole cinesi” la ratio legis emerge chiara dalla lettura combinata dal primo alinea dell’art. art. 12 c.c.i. (introdotto dall’art. 6 dello schema di d.lgs. e corrispondente all’attuale art. 2, d.l. n. 118/2021) con la definizione di «crisi» di cui all’art. 2, lett. a) c.c.i. come modificato anch’esso dall’art. 1 dello schema di d.lgs.

      In base alla prima norma, l’imprenditore (commerciale ed agricolo) che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, può chiedere la nomina di un esperto indipendente che lo aiuterà a individuare la soluzione più appropriata per il superamento della criticità rilevata. L’art. 2, lett. a) c.c.i. (come modificato dallo schema di d.lgs.) definisce a sua volta la «crisi» come «lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi»[4].

       Dunque già quando risulti probabile la probabilità dell’insolvenza (questo è quel che risulta dalla lettura combinata delle norme indicate) l’imprenditore è chiamato a porvi rimedio mediante accesso agli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento, laddove gli sarà invece precluso – stando alle prime pronunce della giurisprudenza – l’accesso alla composizione negoziata ove versi in uno stato di insolvenza irreversibile o manchi una concreta prospettiva di risanamento (cfr. in tal senso Trib. Arezzo, 16 aprile 2022, n. 902/2022 V.G).  

      4. Assetto organizzativo dell’impresa e doveri delle parti nella gestione della crisi.

       Nella prospettiva della (più) tempestiva emersione del pericolo stesso di uno squilibrio economico-finanziario, lo schema di d.lgs. modifica – integrandoli di commi aggiuntivi – gli artt. 3 e 4 c.c.i., rispettivamente rubricati «Adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa»[5] e «Doveri delle parti», da un lato chiarendo la funzione delle misure e dell’«assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato» di cui all’art. 2086 cod. civ. che l’imprenditore ha il dovere di istituire, esplicitando i segnali di allarme più significativi rispetto ad una possibile situazione di difficoltà in cui può venire a trovarsi l’impresa; dall’altro rendendo effettivi e concreti gli oneri e i doveri insiti nei principi di correttezza e buona fede, prescritti in apertura della stessa norma, che gravano sul debitore, sui creditori e, più in generale, su tutte le parti interessate dai processi di ristrutturazione, con particolare attenzione alla posizione dei lavoratori dipendenti mediante l’introduzione – in attuazione della previsione contenuta all’art. 3, § 3, della direttiva 2019/1023/UE – di un obbligo di informazione e di consultazione dei soggetti sindacali nel caso di occupazione di un numero di dipendenti superiore a quindici[6].

       5. Rinegoziazione dei contratti e limiti dello ius variandi

        In linea con tale contesto, fra le norme dedicate alla composizione negoziata di particolare interesse appare quella di cui al comma 2 dell’art. 22 c.c.i. (compreso fra le norme inserite dall’art. 6 dello schema di d.lgs.)[7], a mente del quale «L’esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute. Le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni». 

    Non è dubbio che la norma – a dispetto della sua fisica collocazione nella sfera della disciplina concorsuale – si inserisca nella ben più ampia riflessione, particolarmente stimolata dalla situazione emergenziale imposta dalla pandemia, intorno alla diffusa «esigenza manutentiva del contratto» che deve trovare risposta – come efficacemente affermato dalla Corte di cassazione nella relazione tematica n. 26 dell’8 luglio 2020[8]

«nell’attuale diritto dei contratti riletto al lume del principio di solidarietà e rivitalizzato in un’ottica costituzionalmente orientata attraverso la clausola di buona fede, che di quel principio è il portato codicistico».

      Ciò posto, e passando dall’ambito generale del diritto dei contratti a quello settoriale dei contratti pubblici, si pone la questione di una lettura coordinata della sopravvenienza normativa con i tradizionali quanto rigorosi limiti dello ius variandi,quale deroga al principio della immutabilità dei contratti, che trova da ultimo la sua compiuta espressione nell’art. 106 del codice dei contratti pubblici[9].

      In effetti tale ultima norma, che ripropone la disciplina delineata a livello europeo ed è il «“frutto di un delicato bilanciamento operato dal legislatore fra le regole comunitarie sulla concorrenza (che impongono la corrispondenza fra l’appalto eseguito e quello messo in gara) e le esigenze sopravvenute della stazione appaltante che richiedono una modifica del contratto senza la quale l’interesse che sta alla base della stipula verrebbe ad essere in vario modo frustrato o, comunque, non completamente o proficuamente realizzato” (T.A.R. per la Toscana, Sez. III, 8 giugno 2017, n. 783)”» (TAR Campania, 26 marzo 2020 n. 1259), prevede, fra le ipotesi di varianti ammesse, come puntualmente declinate al comma 1, e fatto salvo il divieto di modifiche sostanziali di cui al comma 4, anche quelle determinate dalla «sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti», potendo anche tale evenienza espressamente  «rientrare»tra le «circostanze impreviste ed imprevedibili» di cui alla lettera c), del rammentato comma 1.

      In tale prospettiva (ed in attesa di più concrete indicazioni applicative provenienti dalla giurisprudenza), dovranno quanto meno ritenersi rafforzati i reciproci obblighi di protezione e di leale collaborazione, già insiti nel regolamento negoziale in virtù della clausola generale della buona fede oggettiva nella fase esecutiva del contratto (artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonché art. 30, co. 1, d.lgs. n. 50 del 2016), a sua volta espressione del principio solidaristico inderogabile e costituzionalizzato (art. 2 Cost.).

     6. Centralità del concordato preventivo.

      L’impianto degli interventi di modifica contenuti nello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2019/1023/UE segnala d’altra parte l’avanzamento della rilevanza sociale dell’impresa, cui specularmente corrisponde l’interesse generale alla sua conservazione, mediante l’adozione di misure e procedure volte al risanamento precoce delle imprese “sane”, ancorché in difficoltà, per prevenirne l’insolvenza ed evitare la loro liquidazione, impedendo la perdita di conoscenze e competenze oltre che di posti di lavoro (si annota per inciso, sotto il profilo terminologico, che al fine di recepire la definizione di «ristrutturazione»[10] contenuta nell’art. 2, par. 1, n. 1, della direttiva 2019/1023/UE, lo schema di d.lgs. introduce la definizione di «quadri di ristrutturazione preventiva»[11] che sostituisce l’espressione, sostanzialmente equivalente, di «procedure di regolazione della crisi» utilizzata nel c.c.i.)[12].  

     Tanto spiega e giustifica già nell’ambito della generale riforma della disciplina della crisi e dell’insolvenza di cui alla legge delega del 19 ottobre 2017 n. 155, la centralità assunta dalla procedura di concordato preventivo – e prioritariamente del concordato con continuità aziendale – nuovamente inciso in maniera significativa dalle modifiche apportate all’istituto ad opera dell’art. 19 dello schema di d.lgs. alla Parte I, Titolo IV, Capo III, Sez. I del c.c.i., la cui rubrica diventerà «Finalità e contenuti del concordato preventivo» (sostituendo l’attuale «Presupposti e inizio della procedura»).

    Quest’ultimo – il concordato preventivo – secondo quanto emerge dal novellato art. 84, rubricato a sua volta «Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano», sia nella forma diretta (con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato), sia nella forma indiretta (se il piano prevede la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento di azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto) dovrà senz’altro tutelare l’interesse dei creditori (che – con innovazione sul punto – potranno essere soddisfatti in misura anche non prevalente[13] dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta) ma al contempo dovrà anche preservare, nella misura del possibile, i posti di lavoro.

     7. Strumenti di regolazione della crisi e contratti pubblici.

     È noto come proprio con l’introduzione nella trama della legge fallimentare[14] del concordato con continuità aziendale, la distanza fra la disciplina dei contratti pubblici e quella concorsuale nell’ultimo decennio si sia progressivamente ridotta.

      La correlazione tra concordato con continuità e contratti pubblici è stata infatti immediatamente percepita ed è risultato evidente come non solo la continuazione dei contratti pubblici già in corso, ma anche la possibilità di partecipare alle procedure di gara per l’affidamento di nuove commesse risultassero (e risultino) funzionali (se non necessari) al recupero di valore dell’impresa, dato lo spazio considerevole occupato nel mercato, sia interno sia europeo, dagli appalti aggiudicati da pubbliche amministrazioni.

      La novità dell’approccio non può non aver risentito dei principi, già ampiamente consolidati a livello europeo e recepiti nella disciplina nazionale, volti alla tutela e all’ampliamento della concorrenza, la quale – a sua volta – non poteva che essere agevolata da una normativa che ponesse attenzione all’azienda come espressione dell’attività di impresa, e, dunque, come bene da preservare e non da disperdere.

    Di qui i ripetuti interventi del legislatore nazionale che, sia pure in maniera frammentaria e frequentemente non omogenea, hanno comunque consentito l’apertura del dialogo fra i due blocchi normativi[15].

    In tale direzione si muove certamente lo schema di d.lgs. di recepimento della direttiva 2019/1023/UE nell’ambito del quale, anzi, deve segnalarsi l’introduzione di un ulteriore strumento di regolazione della crisi «per dare attuazione alla previsione dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva che richiede la previsione di un quadro di ristrutturazione che può prescindere dalle regole distributive delle procedure concorsuali ma che può essere omologato solo se approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto»[16].

      8. Il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione.

      A tal fine, con l’art. 16, lo schema di d.lgs. di recepimento della direttiva 2019/1023/UE, introduce nel Titolo IV della Parte I del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, il Capo 1-bis dedicato al «Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione» (PRO) costituito dagli articoli 64-bis rubricato «Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione» e 64-ter, rubricato «Conversione del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione in concordato preventivo».

     Il debitore-imprenditore «che si trova in stato di crisi o di insolvenza» ove acceda alla nuovo strumento di ristrutturazione, a differenza che nel concordato preventivo, non subirà alcuna forma di spossessamento neppure attenuato, sicché dalla data della presentazione della domanda (nelle stesse forme previste per il concordato preventivo) e fino alla omologazione del piano, pur dovendo amministrare l’impresa nel prevalente interesse dei creditori e sotto la vigilanza del commissario giudiziale, conserverà tuttavia la piena gestione dell’impresa stessa, sia ordinaria sia straordinaria.

     Nel rinviare per gli opportuni approfondimenti ai primi commenti della più autorevole dottrina[17], ai limitati fini del presente contributo interessa segnalare il richiamo contenuto al comma 9 dell’art. 64-bis citato alle disposizioni del c.c.i. sulla procedura di concordato preventivo, da applicarsi «in quanto compatibili», ivi espressamente compreso l’art. 95, rubricato “Disposizioni speciali per i contratti con le pubbliche amministrazioni».

     La norma, che non ha subito modifiche, prevede nella sostanza che:

1. i contratti in corso di esecuzione, stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto del deposito della domanda di concordato e sono inefficaci eventuali patti contrari (fatta salva la possibilità per il debitore di chiedere al tribunale l’autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento del contratto);

2. il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti con le pubbliche amministrazioni, se il professionista indipendente ha attestato la conformità al piano, ove predisposto, e la ragionevole capacità di adempimento;

3. successivamente al deposito della domanda di concordato (anche in bianco), la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, e, dopo il decreto di apertura, dal giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato;

4. l’autorizzazione alla partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici da parte del tribunale o del giudice delegato è tuttavia subordinata al previo deposito di una relazione da parte del professionista indipendente che attesti la conformità al piano, ove predisposto, e la ragionevole capacità di adempimento del contratto;

5. ferma la necessità dell’autorizzazione del tribunale o del giudice delegato, l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che nessuna delle altre imprese aderenti al raggruppamento sia assoggettata ad una procedura concorsuale.       

     Si rileva peraltro, che lo schema di d.lgs. di recepimento della direttiva 2019/1023/UE non introduce modifiche all’art. 372, c.c.i., rubricato “Modifiche al codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50” per l’opportuno ed anzi necessario coordinamento fra le due discipline tenuto conto della introduzione del nuovo quadro di ristrutturazione.

      La dimenticanza non è di poco conto e si auspica che la lacuna sia eliminata dal legislatore piuttosto che confidare nel superamento delle discrasie in sede applicativa facendo leva sulla già ricordata salvezza della compatibilità[18] delle norme dettate in sede di concordato rispetto alla natura peculiare ed alle caratteristiche proprie del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione.

     9. Il rischio di discrasie sistematiche.

     A tal proposito il primo immediato e significativo dubbio di (in)compatibilità applicativa riguarda la prescrizione di cui all’art. 95, comma 5 c.c.i. (sopra ricordata), nel quale risulta trasfusa la (già ampiamente discussa) regola-divieto di cui all’art. 186 bis, sesto comma, della legge fallimentare[19], regola-divieto dal carattere indubbiamente forte, ove si consideri che essa ha recentemente superato il vaglio della Corte Costituzionale[20] e permane tutt’ora nell’ordinamento testualmente immutata ed indenne dalla alluvionale produzione normativa che nell’ultimo decennio ha significativamente inciso il contesto di applicazione del precetto, avuto riguardo sia alla sfera dei contratti pubblici sia alla sfera delle procedure concorsuali.  

      In effetti, se le valutazioni allineate della Corte Costituzionale e del legislatore conservano – ad avviso di chi scrive – una propria intrinseca ragionevolezza risultando dubbia, in concreto, la compatibilità della leadership dell’appalto riservato all’impresa mandataria con una gestione “monca” e rallentata dallo “spossessamento attenuato” quale effetto tipico del concordato preventivo (anche in bianco)[21], non altrettanto sembrerebbe sostenibile l’incompatibilità predicata dal comma 5 dell’art. 95 c.c.i. rispetto al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, nel quale, come si è detto, le capacità di gestione non vengono intaccate e l’imprenditore rimane pienamente titolato ad assumere decisioni sia di ordinaria sia di straordinaria amministrazione, con significativo affievolimento dei poteri di ingerenza degli organi della procedura[22].

    Cionondimeno il rinvio contenuto nell’art. 110, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016, come modificato dall’art. 372 c.c.i.[23], all’articolo 95 c.c.i. (compreso il comma 5), con riferimento «alle imprese che hanno depositato la domanda di cui all’articolo 40 del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza», comporterebbe di rimando l’applicabilità del divieto di ricoprire il ruolo di mandataria nell’ambito di un raggruppamento temporaneo, anche a chi avesse richiesto l’accesso al piano di ristrutturazione omologato (e non al concordato preventivo)[24], pur essendo fuor di dubbio il possesso in capo all’istante dei requisiti di ordine generale[25] e pur nella sussistenza della piena capacità gestionale dell’impresa.  

     Al contempo si pone un problema di coordinamento anche rispetto all’art. 47, comma 17, del codice dei contratti pubblici, che nel testo modificato dall’art. 372 c.c.i., perde la formula di apertura costituita dal richiamo a qualsivoglia «procedura di insolvenza concorsuale»[26] in presenza della quale la stazione appaltante può continuare ad interagire con il raggruppamento temporaneo all’esito delle strette modifiche ivi indicate, rendendo – quand’anche ragionevole – comunque non scontata la possibilità di uno scambio di ruoli all’interno della compagine associativa fra mandataria che ha presentato domanda o è stata ammessa al piano di ristrutturazione omologato e l’impresa mandante in bonis.

        Nel contesto delineato la prospettiva di un aumento del contenzioso amministrativo con le conseguenti incidenze sui tempi di affidamento dell’appalto (che peraltro potrebbe porsi come essenziale ai fini del risanamento dell’impresa), appare eventualità affatto remota ed anzi probabile, con serio pericolo di vedere inibito lo slancio della riforma ove si consideri la rapidità con cui uno stato di crisi reversibile può mutare in irreversibile stato di insolvenza, neutralizzando in tal modo le migliori intenzioni del legislatore e le finalità stesse del nuovo strumento di ristrutturazione.

     Di qui l’auspicio che il legislatore – ove non intenda raccogliere le critiche mosse dal Consiglio di Stato[27] e ritenga pertanto di conservare la previsione del nuovo quadro di ristrutturazione – intervenga tempestivamente ad eliminare le nuove discrasie sistematiche.

                                                                                                Maria Bruna Chito


[1] Vedi allegato Parere della Commissione Speciale n. 832 del 13 maggio 2022.

[2] Pubblicato sulla GU n.100 del 30 aprile 2022.

[3] Ma lo prevede anche l’art. 44 dello schema di d.lgs.

[4] Rammentiamo, per inciso, che la definizione di «crisi» è stata inserita per la prima volta nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 14 del 2019 ed ha già subito una modifica in occasione del primo correttivo di cui al decreto legislativo 26 ottobre 2020, n. 147, mentre la definizione di «insolvenza» contenuta alla lettera b) dell’art. 2 c.c.i., secondo la quale essa è «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» trasfonde immutati i contenuti dell’art. 5, co. 2, della legge fallimentare di cui al r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Nel parere n. 832 del 2022 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sullo Schema di d.lgs. si suggerisce di apportare una modifica integrativa ad entrambe le definizioni. Secondo il Consiglio di Stato la definizione di «crisi» potrebbe essere riformulata come segue: «lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza, che si manifesti con diversi gradi di intensità, attraverso l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi»; mentre la definizione di «insolvenza» potrebbe essere riformulata come segue: «lo stato di crisi del debitore che si manifesta con gravi inadempimenti o altri fatti esteriori i quali dimostrino come altamente probabile che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (parere Cons. Stato, n. 832/2016 cit. § X)

[5] Nel parere n. 832 del 2022 cit. il Consiglio di Stato per l’art. 3 suggerisce la seguente rubrica: «Doveri del debitore in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa»

[6] Nel parere n. 832 del 2022, cit., i Consiglio di Stato «rileva la rigidità del criterio dimensionale che è idoneo a far sorgere l’obbligo di coinvolgimento sindacale, anche in considerazione del numero molto basso di quindici dipendenti» e «chiede, pertanto, di rivalutare tale presupposto ancorandolo, per così dire, al “peso specifico” dell’incidenza delle determinazioni dell’impresa sui rapporti di lavoro e, comunque, rivalutando, il numero dei dipendenti che appare molto basso» (§ 4.2. commento all’art. 4).

[7] La norma ripropone nella sostanza i contenuti dell’art. 10, comma 2, d.l. 24 agosto 2021 n. 118 ad eccezione della previsione sull’intervento del giudice sul contenuto dei contratti per squilibri negoziali determinati dalla pandemia da Covid 19.

[8] Avente ad oggetto: Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale.

[9] Per approfondimenti si rinvia a M. B. Chito, Stipula del contratto e regole di esecuzione, in M.C. Colombo, M. Casati (a cura di), Guida agli appalti pubblici, Il Sole 24 Ore Pirola, 2021, pagg. 396 ss.

[10] Art. 2, definizioni, direttiva 2019/1023/UE: 1) «ristrutturazione»: misure che intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell’impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell’impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi.

[11] L’art. 1, schema d.lgs. inserisce fra le definizioni dell’art. 2 c.c.i., la lettera m-bis) «quadri di ristrutturazione preventiva» definiti come «le misure e le procedure volte al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale; tra i quadri di ristrutturazione non è compresa la composizione negoziata»  

[12] Cfr. al riguardo le osservazioni della Commissione speciale del Consiglio di Stato nel parere n. 832/2022 cit., al paragrafo IV, punto 2.  

[13] Il comma 3 dell’art. 84 c.c.i. (versione non incisa) prevede che «nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta» con la presunzione aggiuntiva, venuta meno anch’essa nello schema di d.lgs., secondo cui «La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media dei lavoratori in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso».

[14] Con il d.l. n. 83 del 2012, convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134

[15] Si rinvia per gli opportuni approfondimenti a M.B. Chito, L’Istituto del concordato in continuità nella disciplina dei contratti pubblici, in Riv. Trim. App. n. 2/2020, pag. 552 e ss.

[16] Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2019/1023/UE. Cfr. al riguardo la posizione fortemente critica del Consiglio di Stato, secondo il quale «L’introduzione di un ulteriore strumento di regolazione della crisi d’impresa, col mantenimento della continuità aziendale, […..], contrasta con i […] principi e criteri direttivi della legge di delegazione europea. Per un verso, infatti, appare frustrata la finalità di semplificazione normativa, per altro verso si introducono profili di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla direttiva, senza peraltro adeguata motivazione […]» (punto 7.1., paragrafo IV, del parere n. 832/2019, cit.).

[17] Cfr. al riguardo S. Bonfatti, La “Nuova Finanza” (in progress ed ex nunc) nel “Piano Attestato Omologato”, in www.dirittobancario.it

[18] Come detto contenuta il comma 9 dell’art. 64-bis c.c.i. introdotto dall’art. 16 dello schema di d.lgs. di recepimento della direttiva 2019/1023/UE richiama le norme sul concordato preventivo “in quanto compatibili”.

[19] Articolo aggiunto dall’articolo 33, comma 1, lettera h), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83.

[20] Corte Costituzionale, n. 85 del 7 maggio 2020.

[21] Per le complesse questioni correlate al divieto, per l’impresa in concordato, di rivestire il ruolo di mandataria di raggruppamento temporaneo di imprese, si rinvia a M.B. Chito, L’impresa in concordato mandataria di raggruppamento temporaneo di imprese, in corso di pubblicazione su Riv. Trim. App.

[22] Prevede l’art. 64-bis, comma 6,c.c.i. inserito dall’art. 16 dello schema di d.lgs.: «L’imprenditore informa preventivamente il commissario, per iscritto, del compimento di atti di straordinaria amministrazione nonché dell’esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto al paino di ristrutturazione. Il commissario giudiziale, quando ritiene che l’atto può arrecare pregiudizio ai creditori o non è coerente rispetto al piano, lo segnala per iscritto all’imprenditore e all’organo di controllo. Se, nonostante la segnalazione, l’atto viene compiuto, il commissario giudiziale ne informa immediatamente il tribunale ai fini di cui all’art. 106» (vale a dire ai fini della revoca del decreto di ammissione alla procedura)

[23] Con entrata in vigore, come detto, ai sensi dell’art. 389 c.c.i. dal 15 luglio 2022

[24] L’art. 64-bis, introdotto dall’art. 16 dello schema di d.lgs. prevede: «La domanda è presentata nelle forme dell’articolo 40. Con il ricorso il debitore deposita la proposta e il piano, con la documentazione di cui all’articolo 39, commi1 e 2. Alla domanda si applicano i commi 4 e 5 dell’articolo 46».

[25] Al riguardo si richiama Cons. Stato A.P. 27 maggio 2021 n. 9 i cui principi dovranno ragionevolmente e a maggior ragione valere anche per il piano di ristrutturazione omologato

[26]  A norma dell’articolo 372, comma 1, lettera c), del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, al comma 17 le parole «articolo 110, comma 5, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento» sono sostituite dalle seguenti: «articolo 110, comma 6, in caso di liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di liquidazione di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o liquidazione giudiziale». 

[27] In chiusura del commento all’art. 64 bis, c.c.i., il Consiglio di Stato «sollecita una riflessione sia sugli evidenziati profili di discontinuità con i principi della direttiva sia sui possibili profili di illegittimità costituzionale dell’articolo 64-bis, comma 1, in relazione all’articolo 76 della Costituzione per eccesso di delega, oltre che sui possibili profili di violazione del divieto di gold plating esposti nella parte generale sui quadri di ristrutturazione preventiva».