A cura di: Paolo Segalerba
La struttura aperta del grave illecito professionale quale causa di esclusione dalla gara: il giudizio sull’integrità ed affidabilità del concorrente nel delicato punto di equilibrio tra discrezionalità amministrativa, principio di legalità e numerus clausus delle fattispecie espulsive – nota a sentenza del TAR Lazio, Roma, sez. III quater, 27.08.2021, n. 9403 (pubblicato nel fascicolo 1/2022 della Rivista Trimestrale degli Appalti)
Il TAR Lazio, Roma (sez. III quater) con la decisione n. 9403 del 27 agosto 2021 affronta il delicato tema dell’esercizio del potere di esclusione del concorrente in dipendenza di una precedente condotta di quest’ultimo (astrattamente) riconducibile alla categoria del “grave illecito professionale”, di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del D.lgs. n. 50/2016: potere, quest’ultimo, permeato da un elevato margine di discrezionalità amministrativa, come anche la pronuncia in commento sembra riconoscere, riaffermando la necessità che l’esclusione scaturisca da un positivo accertamento da parte della stazione appaltante, tendenzialmente insindacabile dal giudice amministrativo se non per macroscopici profili di illogicità o di travisamento della fattispecie, e senza alcuna possibilità di accertamento diretto da parte del giudice, in caso di omessa considerazione del precedente da parte dell’amministrazione.
Il thema decidendum alla base della pronuncia in esame si incentra essenzialmente su una condotta dell’operatore concorrente nell’ambito di un precedente affidamento pubblico da una diversa stazione appaltante, tale da condurre alla risoluzione di quest’ultimo per inadempimento.
Tale “precedente” era stato bensì correttamente e tempestivamente dichiarato dall’operatore risultato aggiudicatario della gara: la pronuncia sembra dunque valorizzare il conseguente apprezzamento negativo – seppure implicito – da parte della stazione appaltante sull’idoneità della condotta medesima a ledere l’integrità ed affidabilità del concorrente risultato aggiudicatario.
Su tale presupposto, il focus della decisione si incentra dunque:
– sulla rilevata assenza di qualsivoglia automatismo espulsivo ricollegato ad una pregressa risoluzione contrattuale intervenuta nell’ambito di un distinto appalto;
– sulla correlata necessità che l’esclusione scaturisca da un positivo accertamento da parte della stazione appaltante sia sulle cause della precedente risoluzione contrattuale, che deve discendere da un grave inadempimento imputabile all’operatore concorrente, e sia pure sull’idoneità di tale pregressa condotta a condurre ad una valutazione negativa sull’integrità ed affidabilità del concorrente (e potenziale futuro contraente) medesimo;
– sull’ampio margine di discrezionalità di cui è permeata tale valutazione, come tale, in linea di massima, insindacabile da parte del giudice amministrativo, se non in presenza di macroscopici profili di illogicità o di travisamento della fattispecie.
In relazione a tale ultimo aspetto, la sentenza contiene un passaggio piuttosto singolare, ove afferma che il ricorrente avrebbe direttamente adito il tribunale amministrativo, trascurando di chiedere previamente, in via di autotutela, l’accertamento da parte della stazione appaltante sulla rilevanza del precedente in parola quale illecito professionale passibile di esclusione: ciò, con conseguente preclusione del sindacato del giudice con riferimento ad un potere amministrativo non ancora esercitato, ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.a..
Tale apprezzamento sembra porsi bensì in contrasto con il precedente rilievo operato dal giudice sulla tempestiva comunicazione del precedente da parte dell’operatore risultato aggiudicatario, che quindi aveva fornito un quadro istruttorio completo all’amministrazione, ponendo quest’ultima in grado di conoscere la fattispecie astrattamente rilevante ai fini della valutazione sul possesso dei requisiti previsti dall’art. 80 del codice dei contratti: l’intervenuta aggiudicazione della gara all’operatore sembra dunque presupporre, anche dal punto di vista logico, un giudizio implicito circa la non rilevanza di tale precedente quale illecito professionale ex art. 80, comma 5, lett. c) e c-ter), che, come tale, non necessita di alcuna motivazione, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale.
Non sembra pertanto ravvisabile – almeno prima facie – un omesso esercizio dei poteri amministrativi da parte della stazione appaltante tale da precludere il sindacato giurisdizionale, giusta il principio di separazione dei poteri ex art. 34, comma 2, c.p.a. richiamato in sentenza.
E ciò, anche in considerazione del fatto che il ricorso de quo aveva espressamente censurato il difetto di istruttoria in capo alla stazione appaltante sulla carenza del requisito di affidabilità professionale.
Le considerazioni da ultimo svolte segnano il punto critico della pronuncia in commento, manifestando al contempo la difficoltà dell’interprete nel ricostruire e circoscrivere l’esatta portata della fattispecie espulsiva in questione, il cui carattere evidentemente “aperto” deve trovare adeguato bilanciamento e contemperamento tra i principi, potenzialmente confliggenti, della discrezionalità amministrativa, con i connessi limiti al sindacato giurisdizionale, e di tassatività delle cause di esclusione nonché di proporzionalità nell’esercizio del potere espulsivo.
Il tema appare di estremo interesse e tuttora in piena evoluzione, attesa la complessa stratificazione degli impianti normativi, anche di matrice comunitaria e degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, oltre che in seno alla prassi, che si sono succeduti nel tempo al fine di disciplinare, ed interpretare i contorni, della complessa fattispecie in considerazione.
La criticità maggiore, sia dal punto di vista normativo che sul versante interpretativo, sembra risiedere, in ultima analisi, nella difficoltà di trovare il delicato punto di equilibrio tra l’esigenza della stazione appaltante di non contrattare con un soggetto ritenuto non integro o non affidabile e, dall’altra, evitare esclusioni pressochè arbitrarie, e comunque l’uso arbitrario della clausola espulsiva in questione.
Da un lato, infatti, il requisito della fiducia da parte della stazione appaltante nei confronti del concorrente, futuro e potenziale contraente, non può nè deve sconfinare in una selezione concorsuale fondata sul principio dell’intuitus personae, ostandovi i principi stessi posti alla base della procedura selettiva ad evidenza pubblica, tra i quali i principi di parità di trattamento, imparzialità dell’agire dell’amministrazione, favor partecipationis e di libera concorrenza, oltre al principio di proporzionalità.
Dall’altro, non possono sacrificarsi il principio di legalità e di certezza del diritto, espandendo indebitamente il margine di discrezionalità in capo alla stazione appaltante nell’interpretazione ed applicazione della fattispecie escludente, facendo sconfinare nell’arbitrio l’esercizio del potere amministrativo posto alla base della selezione (e dell’esclusione).
Il tutto, con la contemporanea speculare limitazione del sindacato giurisdizionale sull’esercizio del potere amministrativo.
Le criticità sembrano muovere anzitutto da un impianto normativo la cui struttura pare oggi essere eccessivamente aperta, con gli inevitabili riflessi sul conseguente esercizio del potere amministrativo.
I nodi irrisolti potranno quindi trovare soluzione mediante un intervento del legislatore che definisca con maggior precisione il perimetro normativo della fattispecie espulsiva in commento.