A cura di: Paolo Carbone.
Ai molteplici procedimenti di composizione delle controversie alternativi al contenzioso – definizione in via amministrativa delle riserve; accordo bonario; transazione, ma anche procedimenti di istruzione preventiva quale l’accertamento tecnico preventivo con funzione conciliativa – da circa tre anni s’è aggiunto un ulteriore strumento: il collegio consultivo tecnico.
Utilizzato sin dalla metà degli anni ‘70 nell’esperienza anglosassone, l’istituto, agli inizi del 2000, è stato sperimentalmente impiegato – in vero con risultati assai modesti – da alcuni committenti, in relazione ad appalti di notevole rilievo economico e complessità tecnica. Il collegio consultivo tecnico è stato introdotto nel d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50 – codice dei contratti pubblici – con l’art. 207, norma espressamente abrogata dall’art. 121 del d. lgs. 19 aprile 2017, n. 56, salvo essere reintrodotto dall’art. 1, comma 11 del d. l. 18 aprile 2019, n. 32 ma solo sino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’art. 216, comma 27-octies del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50 che avrebbe dovuto essere emanato entro il 16 ottobre 2016. Rimasto uno strumento del tutto non utilizzato, con l’art. 6 del d. l. 16 luglio 2020 n. 76, il collegio consultivo tecnico è stato integramente disciplinato ex novo e, sia pure sino al 30 giugno 2023 – ma inizialmente solo sino al 31 dicembre 2021 – è stato reso obbligatorio in relazione a tutti gli appalti di lavori, anche in corso di esecuzione, di importo pari o superiore alla soglia di cui all’art. 35 del d. l. n. 50 del 2016 (€ 5.382,000,00). Ma anche la disciplina contenuta nell’art. 6 del d. l. n. 76/2020 era ampiamente lacunosa, poiché il legislatore aveva del tutto omesso di regolare aspetti assai rilevanti quali «i requisiti professionali e i casi di incompatibilità dei membri e del Presidente del collegio consultivo tecnico, i criteri preferenziali per la loro scelta, i parametri per la determinazione dei compensi rapportati al valore e alla complessità dell’opera, nonché all’entità e alla durata dell’impegno richiesto ed al numero e alla qualità delle determinazioni assunte, le modalità di costituzione e funzionamento del collegio e il coordinamento con gli altri istituti consultivi, deflativi e contenziosi esistenti». Con l’art. 51, comma 1, lett. e), n. 5), d. l. 31 maggio 2021, n. 77 tale delicato compito di integrazione della disciplina del collegio consultivo tecnico è stato delegato al Ministro delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili che avrebbe dovuto provvedervi entro i sessanta giorni decorrenti dal 31 luglio 2021, e quindi entro il 29 settembre 2021, mentre le c. d. Linee guida per l’omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del collegio consultivo tecnico sono state approvate solo con il decreto 17 gennaio 2022, n. 12, pubblicato – unitamente alla Linee guida – sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana solo il 7 marzo 2022.
Il lungo intervallo di tempo – ben 219 giorni – intercorrente tra il 31 luglio 2021 (data di entrata in vigore del d. l. n. 77/2021) e il 7 marzo 2022 (data di pubblicazione sulla G.U.R.I. del d. m. infrastrutture 17 gennaio 2022, n. 12) non è stato sufficiente a dar vita ad una disciplina realmente rispettosa dei limiti della delega, come – ovviamente – previsto dal comma 8 bis dell’art. 6 del d. l. n. 76 del 2020, ai sensi del quale la delega avrebbe dovuto essere esercitata «nel rispetto di quanto stabilito dal presente articolo»(n.d.r. art. 6 del d. l. n. 76/2020).
Infatti, non poche disposizioni delle c. d. Linee guida sono fortemente sospette di una violazione dei limiti della delega e alcune si collocano clamorosamente al di fuori di essa.
La più immediata e rilevante manifestazione dell’eccesso di delega riguarda il § 7.2.1., lett. a) delle Linee guida allegate al d. m. 17 gennaio 2022, n. 12, ove si prevede che i componenti del collegio consultivo tecnico debbano percepire un compenso fisso, proporzionato al valore dell’opera, mentre l’originaria disposizione dell’art. 6, comma 7, del d. l. n. 76 del 2020, secondo periodo, ai sensi della quale «in mancanza di determinazioni o pareri ad essi (n.d.r.: ai componenti del collegio consultivo) spetta un gettone unico onnicomprensivo», è stata espressamente abrogata dall’art. 51, comma 1, lett. e), n. 3), d. l. 31 maggio 2021, n. 77. Tale importante modifica della disciplina del collegio consultivo è stata del tutto ignorata dagli estensori delle Linee guida che hanno continuato a prevedere un compenso fisso, in evidente violazione di quanto previsto dall’art. 6, comma 8 bis del d. l. n. 76/2020.
Ma oltre tale aspetto, non mancano altre norme fortemente sospette di illegittimità.
Il Giudice Amministrativo è stato recentemente investito della legittimità del § 2.4.2. delle Linee guida che indica chi possa assumere l’incarico del presidente del collegio consultivo tecnico.
Anche tale norma, non sfugge a censure; infatti, la lettera c) di essa indica che possono assumere il ruolo di presidente del collegio consultivo i “giuristi” ma – in maniera del tutto immotivata e palesemente discriminatoria – esclude da tale categoria gli avvocati del libero foro, atteso che qualifica i “giuristi” come coloro «che ricoprono o hanno ricoperto la qualifica di: magistrato ordinario, amministrativo o contabile; avvocato dello Stato; Prefetto; dirigente della carriera prefettizia, dirigente di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001; dirigente di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato soggette all’applicazione del Codice dei Contratti Pubblici; componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici; professore universitario di ruolo di materie giuridiche attinenti alla legislazione delle opere pubbliche e al contenzioso amministrativo e civile», ossia solo soggetti che – con la sola eccezione degli avvocati dello stato e, probabilmente, dei professori universitari – non hanno mai svolto la professione forense.
La questione è stata oggetto di un ricorso per l’annullamento – previa sospensione dell’efficacia – del punto 2.4.2., lett. c), delle Linee guida, depositato il 21 marzo 2022 dinanzi al TAR per il Lazio dall’Ordine degli Avvocati di Roma, dalla Camera Amministrativa Romana con l’intervento ad adjuvandum della Società Italiana Avvocati Amministrativisti. Con l’ordinanza 19 aprile 2022, n. 2585, la terza sezione del TAR Lazio ha accolto l’istanza cautelare con una motivazione ampia ed articolata.
I Giudici amministrativi hanno preliminarmente «considerato, (… omississ..), che la categoria degli avvocati del libero foro neppure rientra tra i giuristi di cui al punto 2.4.2., lett. c), dell’impugnato decreto ministeriale, in quanto espressamente non contemplata da tale norma che individua, quale requisito per la nomina a Presidente, il possesso di determinate qualifiche professionali con una anzianità di ruolo non inferiore a dieci anni, accomunate dalla sussistenza di un rapporto di servizio, oltretutto non contrattualizzato ed in regime di diritto pubblico, con l’Amministrazione statale instaurato in esito al superamento delle prescritte procedure concorsuali per l’assunzione nei ruoli di magistrato ordinario, amministrativo, contabile, dell’avvocatura di Stato – con esclusione quindi, dei procuratori dello Stato – della carriera prefettizia, senza peraltro la previsione di alcun titolo preferenziale per la scelta dei soggetti ai quali affidare l’incarico di presidente, pur essendo tale facoltà prevista dalla riserva di cui all’art. 8-bis del d.l. n. 76/2020» hanno «rilevato, che tra le qualifiche professionali dei giuristi prese in considerazione dal sintetizzato punto 2.4.3., lett. c), dell’impugnato Decreto ministeriale, è contemplata e giustapposta a quella del menzionato personale operante in regime di diritto pubblico e connotato da uno spiccato legame di funzionalizzazione con il c.d. Stato-apparato, altresì quella, dalla prima del tutto disomogenea e orba del cennato vincolo funzionale con lo Stato-apparato, di “dirigente di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato soggette all’applicazione del codice dei contratti pubblici”, ossia quella di un soggetto il cui rapporto di lavoro, ancorché di livello apicale, esula dall’applicazione di un regime pubblicistico e dal tratteggiato vincolo di funzionalizzazione con l’Amministrazione Statale, non palesando pertanto alcuna assimilazione o equipollenza alla categoria del ridetto personale magistratuale o dell’avvocatura di Stato ovvero della categoria prefettizia contrassegnato dal rilevato legame con lo Stato-apparato, discendendone pertanto una irragionevole ed illogica equiparazione a tale personale pubblicistico; ed hanno «considerato, infatti, che tali dirigenti prestano la propria attività lavorativa in favore di soggetti con personalità giuridica di diritto privato – tra i quali, ad esempio, sono annoverabili alcuni enti aggiudicatori e soggetti aggiudicatori, nonché gli altri soggetti aggiudicatori di cui all’art. 2, comma 1, lett. e), f) e g), del d.lgs. n. 18 aprile 2016, n. 50 – che agiscono iure privatorum e la cui attività può essere, per alcuni aspetti di carattere non organizzativo, funzionalizzata al perseguimento di interessi pubblici nei limiti fissati dal legislatore con le c.d. norme di equiparazione (tra le quali rientra l’art. 2 del d.lgs. n. 50/2016 che li assoggetta all’applicazione della disciplina del codice dei contratti pubblici)».
Sulla scorta di tali considerazioni, i Giudici hanno «ritenuto, pertanto, che la scelta di escludere gli avvocati del libero Foro dal novero dei giuristi che possono ottenere l’incarico di presidente del Collegio consultivo tecnico, a seguito di approfondita riflessione non risulta, prima facie, espressione di un corretto e ragionevole esercizio della discrezionalità riconosciuta al Ministero resistente dall’art. 6, comma 8-bis, del d.l. n. 76/2020 in relazione all’individuazione dei requisiti professionali del presidente dell’anzidetto Collegio, presentando, per converso, aspetti di discriminatorietà e illogicità per via da un lato, della ingiustificata equiparazione alle categorie di personale in regime di diritto pubblico legato allo Stato-apparato dal ridetto legame di funzionalizzazione con il correlato statuto giuridico e il conseguente rispetto di inderogabili obblighi di rango costituzionale; dall’altro poiché la categoria dei dirigenti di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato soggette all’applicazione del codice dei contratti pubblici, non risulta suscettibile di essere ricondotta nell’alveo degli stessi pubblici dipendenti;
opinato, pertanto in considerazione di entrambi i divisati profili, che declinano verso una irragionevole e ingiustificata equiparazione in melius dei dirigenti di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato al predetto personale di diritto pubblico ai fini della nomina a Presidente del Collegio consultivo tecnico, che traspare contestualmente una altrettanto ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento tra la predetta categoria di dirigenti e gli avvocati del libero Foro, affiorante quindi in peius nei confronti degli avvocati; discriminazione e disparità di trattamento che si appalesano ancor più marcate ove si consideri il rilievo ordinamentale dell’attività forense nel prisma dell’art. 24 della Carta costituzionale;
Considerato, inoltre, che la scelta operata dal Ministero resistente con l’impugnato punto 2.4.2. del d.m. n. 12/2022 appare illogica e irragionevole anche nella misura in cui non risulta, prima facie, pienamente rispettosa dei vincoli posti dall’art. 6, comma 8-bis, del d.l. n. 76/2020. Invero, posto che la predetta norma impone al Ministero resistente di definire, inter alia, i requisiti professionali del presidente del Collegio consultivo tecnico in parola “nel rispetto di quanto stabilito dal presente articolo”, il fatto che la categoria degli avvocati del libero Foro sia stata del tutto pretermessa dalla possibilità di accedere a tale incarico, non appare logicamente coerente con il dato che tra i compiti demandati ex lege a tale organo sia espressamente menzionato quello della “rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto stesso” (art. 6, comma 1, d.l. n. 76/2020);
Rimarcato inoltre, sotto tale profilo di indagine che la fonte primaria ha previsto che con provvedimento del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili siano definite anche le modalità di costituzione e funzionamento del collegio e il coordinamento con gli altri istituti consultivi, deflativi e contenziosi esistenti. A tale riguardo, infatti, l’esclusione degli avvocati del libero Foro dalla possibilità di ricoprire l’incarico di Presidente dell’organo tecnico in questione, per come è stata effettuata dall’impugnato decreto ministeriale, appare altresì contraddittoria rispetto ad analoghe scelte relative ad altri istituti di carattere consultivo, deflativo e contenzioso – quale, ad esempio, la Camera arbitrale per i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture istituita presso l’Autorità nazionale anticorruzione (“ANAC”) ai sensi dell’art. 210 del d.lgs. n. 50/2016 – rispetto ai quali in relazione ai quali non è in nuce preclusa la possibilità che gli avvocati del libero foro svolgano l’incarico di Presidente – come dimostra il fatto che, ad esempio, nell’albo degli arbitri della Camera arbitrale istituita presso l’ANAC, dal quale è tratta anche la figura del presidente, possono essere iscritti anche gli avvocati del libero Foro (art. 210, comma 7, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016) –;
Ritenuto, altresì, sussistente il prospettato danno grave e irreparabile alla luce delle attuali previsioni inerenti alla durata temporale di operatività del Collegio consultivo tecnico (fissata al 30 giugno 2023 dall’art. 6, comma 1, del d.l. n. 76/2020) e delle evidenze in atti (…omississ…) circa l’impossibilità per gli avvocati del libero Foro di essere nominati Presidenti di istituendi Collegi, pur essendo già stati designati dalle parti per ricoprire tale ruolo, o di svolgere incarichi attualmente già conferiti», il TAR ha accolto l’istanza cautelare ed ha sospeso l’efficacia dell’art. 2.4.2., lett. c) delle Linee guida allegate al d. m. Infrastrutture 17 gennaio 2022, n. 12.
L’ampiezza e la profondità della motivazione dell’ordinanza dimostra la sostanziale inesistenza di alcuna valida argomentazione a sostegno della opzione del Ministro, che ha immotivatamente operato una scelta gravemente discriminatoria che appare vieppiù inaccettabile ove si consideri che – per oscure ragioni – possono essere nominati componenti del collegio consultivo tecnico coloro che abbiano una comprovata esperienza «anche in relazione …. alla specifica conoscenza di metodi e strumenti elettronici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture (BIM), maturata per effetto del conseguimento di un dottorato di ricerca», condizione che non sembra soddisfare quella necessaria “esperienza pratica e professionale di almeno dieci anni nel settore di riferimento” richiesta ad ogni altro componente.
Le Linee guida allegate al d. m. infrastrutture 17 gennaio 2022, n. 12, sono affette da vizi e molte disposizioni in esse contenute sono fortemente sospette di illegittimità; il § 2.4.2., lett. c) è solo una di esse, ma è rilevante poiché è la prima che è stata sottoposta al vaglio dei Giudici.
Nonostante le incongruenze delle Linee guida e i molteplici interrogativi ancora aperti, il ricorso al collegio consultivo tecnico comincia a diffondersi, superando la sostanziale riluttanza delle stazioni appaltanti.
Al fine di fornire indicazioni operative circa l’applicazione delle norme regolanti il collegio consultivo tecnico, ho certato di illustrare nello e-book dal titolo La disciplina del collegio consultivo tecnico dopo il decreto del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili 17 gennaio 2022, n. 12, pubblicato dalla Maggioli Editore i numerosi profili problematici che persistono in ordine all’operatività dell’istituto.