Sulla Gazzetta Ufficiale del 24 giugno 2022, serie ordinaria, numero 146, è stata pubblicata la legge 21 giugno 2022, n. 78, che reca «la delega al governo in materia di contratti pubblici».
La legge, allo spirare del periodo di vacatio legis previsto dall’articolo 10 delle disposizioni preliminari sulla legge, è entrata in vigore il 9 luglio 2022 e da tale data decorre il termine di sei mesi – previsto dall’art. 1, comma 1 – entro il quale il Governo è chiamato ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati alla disciplina dei contratti pubblici.
Pertanto entro il 9 gennaio 2023 dovrebbe aver luogo l’adozione del nuovo codice dei contratti pubblici.
Giusta la previsione del comma 4 dell’art. 1, i decreti legislativi saranno adottati su proposta del presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con i Ministri competenti e previa acquisizione del parere della conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Conferenza unificata Stato, città e autonomia locali), e del parere del Consiglio di Stato, pareri che, tuttavia devono essere resi entro il termine di 30 giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, termine decorso il quale il Governo può comunque procedere all’adozione dei decreti legislativi che vengono successivamente trasmessi alle Camere per l’espressione dei pareri delle commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, le quali devono pronunciarsi entro i 30 giorni decorrenti dalla data di trasmissione, termine scaduto il quale – anche in questo caso – i decreti possono comunque essere adottati. Ove il parere delle commissioni parlamentari indichi talune disposizioni ritenute non conformi ai principi e ai criteri contenuti nella legge di delega, il Governo – qualora non intenda conformarsi a tali pareri – trasmette nuovamente i testi alle Camere con le eventuali osservazioni e modificazioni corredate degli elementi integrativi di informazione e motivazione. Le commissioni parlamentari possono esprimersi sulle osservazioni del governo entro i 10 giorni dalla assegnazione e, trascorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati.
L’ultima parte del comma 4 dell’art. 1 prevede la facoltà del governo di delegare al Consiglio di Stato la stesura dell’articolato normativo e, nello svolgimento di tale compito il Consiglio di Stato si avvale di magistrati del tribunale amministrativo regionale, di esperti esterni e rappresentanti del libero foro e dell’Avvocatura Generale dello Stato i quali sono chiamati a tale collaborazione a titolo gratuito e senza alcun diritto al rimborso delle spese.
Sugli schemi di decreto redatti dal Consiglio di Stato non è acquisito il parere dello stesso.
Entro i successivi due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, il governo, sulla scorta della applicazione intervenuta, può apportare le correzioni ed integrazioni che si siano manifestate opportune, o addirittura necessarie; tali modifiche possono essere apportate con la medesima procedura e con i medesimi principi e criteri direttivi previsti dal comma 4 dell’art. 1.
L’ultimo periodo del comma 4 prevede che ove il termine per l’espressione del parere parlamentare scada nei 30 giorni che precedono la scadenza dei termini di delega previsti dall’art. 1, tali termini sono prorogati di 3 mesi. Tale disposizione, unitamente alla prescrizione che il Governo sia delegato ad adottare uno o più decreti legislativi disciplinanti i contratti pubblici entro i sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delega, induce a ritenere che i termini relativi ai vari passaggi indicati dal comma 4 dell’art. 1, ossia:
- 30 giorni per l’acquisizione del parere della conferenza unificata e dell’eventuale parere del Consiglio di Stato, ove quest’ultimo non abbia redatto l’articolato normativo;
- 30 giorni perché le Commissioni parlamentari delle Camere – competenti per materia e per i profili finanziari – si esprimano;
- 10 giorni decorrenti dall’assegnazione perché le Commissioni competenti per materia si esprimano sulle eventuali osservazioni svolte dal Governo sulle eventuali deduzioni svolte dalla Commissioni stesse in ordine alle disposizioni ritenute non conformi ai principi della legge di delega;
siano interni ai sei mesi entro i quali i decreti devono essere adottati, per cui – anche ove non si consideri il tempo per l’acquisizione del parere del Consiglio di Stato né quello occorrente per l’assegnazione alla Commissioni parlamentari delle osservazioni del Governo in ordine alle eventuali deduzioni delle Commissioni stesse – ecco che il termine di sei mesi per la redazione dell’articolato normativo dei decreti legislativi si riduce a 3 mesi e venti giorni circa, comprensivi del mese di agosto.
Altra prescrizione che suscita perplessità deriva dalla puntualizzazione che ove il Consiglio di Stato sia incaricato di redigere l’articolato normativo, potrà avvalersi di magistrati dei Tribunali Amministrativi Regionali, di esperti e rappresentanti del libero foro e di Avvocati dello Stato che, tuttavia, dovranno operare in regime di assoluta gratuità, senza aver neanche diritto al rimborso delle spese. Tale disposizione genera non poche perplessità poiché costituisce, ancora una volta, espressione di consolidato filone di norme che richiedono rilevanti capacità – quali devono necessariamente essere possedute da coloro che materialmente redigeranno l’articolato – ma che prevedono o compensi oggettivamente modesti (soprattutto se posti in relazione con l’impegno richiesto) o addirittura, come nel caso in esame, la gratuità dell’incarico.
L’art. 1, comma 2, della legge n. 78 del 2022 contiene i 31 criteri di delega che dovranno guidare nella redazione del nuovo testo normativo.
In parte essi riprendono i 58 criteri di delega indicati nell’art. 1 della legge 23 gennaio 2016, n. 11 all’origine del d. lgs. n. 50 del 2016; ad essi si aggiunge l’indicazione generale contenuta nel comma 1 dell’art. 1, ove si precisa il Governo «è delegato all’adozione di uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dei contrati pubblici anche al fine di adeguarla al diritto europeo e ai princìpi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, e di razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, nonché al fine di evitare l’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione europea e di giungere alla risoluzione delle procedure avviate».
Ovviamente non è possibile, in questa sede esaminare analiticamente tutti i criteri di delega il primo dei quali – sub lett. a) – ribadisce il divieto di gold plating, sottolineando la necessità di perseguire «obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ferma rimanendo l’inderogabilità delle misure a tutela del lavoro, della sicurezza, del contrasto al lavoro irregolare, della legalità e della trasparenza» al fine di assicurare l’apertura alla concorrenza e al confronto competitivo fra gli operatori dei mercati dei lavori, dei servizi e delle forniture, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, tenendo debito conto degli elementi di specificità dei contratti nei settori speciali e nel settore dei beni culturali. Il criterio di delega – nel rimarcare la necessità di riduzione e razionalizzazione delle norme in materia di contratti pubblici – sollecita una ridefinizione della disciplina secondaria, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici.
Sembra potersi ritenere, pertanto, che il nuovo codice sarà affiancato da un regolamento di attuazione la cui redazione – ovviamente – non potrà che costituire un atto successivo all’adozione del codice stesso e sarà destinato a subire le modifiche che dovessero rendersi necessarie in esito alle integrazioni del codice allo scadere del biennio “di prova” di cui al comma 4 dell’art. 1.
Si apprende dal sito del Dipartimento Politiche Comunitarie[1] che «il 6 aprile 2022, la Commissione europea ha deciso l’archiviazione di sei procedure di infrazione, l’adozione di 1 costituzione in mora complementare (art. 258 TFUE) e 1 costituzione in mora (art. 260 TFUE).
Le procedure di infrazione a carico del nostro Paese scendono a 98, di cui 62 per violazione del diritto dell’Unione e 36 per mancato recepimento di direttive» e che la costituzione in mora complementare n. 2018/2273 è stata formulata nei confronti dell’Italia per rilevate non conformità della disciplina nazionale sui contratti pubblici con le direttive 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, 2014/24/UE sugli appalti pubblici e 2014/25/UE sulle procedure d’appalto nei settori dell’acqua, energia, trasporti e servizi postali[2].
Il secondo criterio di delega – sub lett. b) – riprende, in sintesi, quanto già indicato dai criteri di delega sub lettere t) e bb) dell’art. 1, della legge 11 del 2016 e prevede la revisione delle competenze dell’ANAC in materia di contratti pubblici, al fine di rafforzarne la vigilanza e il supporto alle stazioni appaltanti.
Il terzo criterio di delega ritorna sul tema della qualificazione delle stazioni appaltanti, e della riduzione numerica delle stesse mediante accorpamento e riorganizzazione. Il tema è, evidentemente, di fondamentale importanza poiché la debolezza e la mancanza di qualificazione dei committenti è stata ormai da troppo tempo il tallone di Achille di ogni possibile riforma, atteso che è del tutto inutile elaborare norme e principi corretti ove poi manchi che essi sappia applicare. In questa prospettiva, assume fondamentale rilievo il «potenziamento della qualificazione e della specializzazione del personale operante nelle stazioni appaltanti, anche mediante la previsione di specifici percorsi di formazione», sperando che – contrariamente a quanto sino ad oggi accaduto – le apparentemente acquisite consapevolezze si traducano in azioni concrete.
Il quarto criterio di delega – sub lett. d), stabilisce debbano essere previste norme volte a favorire la partecipazione alle gare delle piccole e medie Imprese individuando:
- «criteri premiali per l’aggregazione di impresa, nel rispetto dei princìpi unionali di parità di trattamento e non discriminazione tra gli operatori economici»;
- «la possibilità di procedere alla suddivisione degli appalti in lotti sulla base di criteri qualitativi o quantitativi, con obbligo di motivare la decisione di non procedere a detta suddivisione, nonché del divieto di accorpamento artificioso dei lotti».
Il quinto criterio di delega – sub lett. e) – riguarda i contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie e prescrive la semplificazione delle disciplina applicabile «nel rispetto dei princìpi di pubblicità, di trasparenza, di concorrenzialità, di rotazione, di non discriminazione, di proporzionalità, nonché di economicità, di efficacia e di imparzialità dei procedimenti e della specificità dei contratti nel settore dei beni culturali» e dispone il divieto per le stazioni appaltanti di utilizzare il sorteggio, o altri metodi di estrazione casuale dei nominativi, per la selezione degli operatori da invitare alle procedure negoziate, salvo che non ricorrano situazioni particolari che devono essere oggetto di una specifica motivazione. È evidente che tale divieto imporrà alla stazione appaltante lo svolgimento di un’attività trasparente, fondata su criteri obiettivi e verificabili, volta a definire la platea degli operatori economici che possono essere ammessi alla procedura selettiva. È evidente che il nuovo codice dovrà disciplinare con estrema chiarezza e precisione le modalità di svolgimento di tali procedure.
Il sesto criterio di delega – sub lett. f) – impegna il Governo alla semplificazione delle procedure finalizzate alla realizzazione di investimenti in tecnologie verdi e digitali e prescrive debbano essere previste «misure volte a garantire il rispetto dei criteri di responsabilità energetica e ambientale nell’affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, in particolare attraverso la definizione di criteri ambientali minimi, da rispettare obbligatoriamente, differenziati per tipologie ed importi di appalto e valorizzati economicamente nelle procedure di affidamento, e l’introduzione di sistemi di rendicontazione degli obiettivi energetico-ambientali». La disposizione, tuttavia, sembra riguardare più la progettazione o l’affidamento mediante offerta economicamente più vantaggiosa, che l’appalto di lavori limitato alla sola esecuzione, fase in relazione alla quale sarà necessario predisporre adeguati strumenti di verifica e controllo.
Il settimo criterio di delega – sub lett. g) – riguarda il ripristino della revisione dei prezzi e sembra costituire l’effetto della drammatica esperienza degli ultimi due anni, caratterizzati da un forte aumento dei costi dei fattori della produzione. Dapprima il legislatore ha affrontato la questione attraverso l’insufficiente meccanismo delle c.d. “compensazioni” relative solo all’eccezionale incremento di costo di alcuni materiali, poi – con il d. l. n. 50 del 2022 – ha previsto il ripristino della revisione dei prezzi che torna a regime e che diviene operante «al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta». Il meccanismo revisionale viene esteso anche alla «variazione del costo derivante dal rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabili in relazione all’oggetto dell’appalto e delle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente», non limitandosi lo stesso ai soli rincari dei materiali. Inoltre, ai sensi dell’art. 7, comma 2 ter del d. l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con legge 29 giugno 2022, n. 79, ha previsto una interpretazione autentica dell’art. 106, comma 1, lett. c) del d. lgs. n. 50 del 2016, affermando che tra le circostanze indicate impreviste ed imprevedibili che consentono la modifica del contratto sono incluse quelle che alterano in maniera significativa il costo dei materiali, fissando un ulteriore principio che dovrebbe essere recepito nel nuovo codice.
L’ottavo criterio di delega – sub lett. h) – prevede per le stazioni appaltanti la facoltà «di riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e a quelle di concessione a operatori economici il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate», nonché «l’obbligo di inserire, nei bandi di gara, avvisi e inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, in particolare ove riguardi beni culturali, e nel rispetto dei princìpi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali con le quali sono indicati, come requisiti necessari dell’offerta, criteri orientati tra l’altro a:
1) garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato;
2) garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare;
3) promuovere meccanismi e strumenti anche di premialità per realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate». È evidente che sarà necessario stabilire con particolare attenzione in quale caso ricorra la facoltà e in quali sussisterà l’obbligo.
Il nono criterio di delega – sub lett. i) – è certamente innovativo rispetto al passato e prevede la possibilità, per le stazioni appaltanti, di promuovere il ricorso a forniture in cui la parte di prodotti originari di Paesi terzi, non sia maggioritaria rispetto al valore totale dei prodotti. Inoltre, ove si tratti di forniture provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea, devono trovare applicazione misura idonee a garantire il rispetto di criteri ambientali minimi e dei diritti dei lavoratori, anche allo scopo di assicurare una leale concorrenza nei confronti degli operatori economici europei.
Il decimo criterio di delega – sub lett. l) – dispone il divieto di prestazione gratuita delle attività professionali, salvo casi eccezionali in relazione ai quali deve sussistere una adeguata motivazione.
Il criterio è palesemente censurabile poiché – sia pure in casi eccezionali – prevede una possibilità di prestazione gratuita di attività professionali là dove sarebbe stato assai più opportuno prevedere l’obbligo della onerosità delle prestazioni professionali da apprezzare secondo le vigenti disposizioni che regolano l’attività dei singoli professionisti, escludendo in radice l’ipotesi di gratuità e la necessità di una improbabile motivazione che essa dovrebbe giustificare. Infatti, se la Corte di cassazione ha ritenuto verosimile che il professionista (nel caso concreto, in 11 casi) avesse reso gratuitamente le proprie prestazioni in ragione dei particolari rapporti con amici e parenti[3], è certamente difficile pensare che una siffatta motivazione possa essere spesa per un appalto pubblico. Di contrario avviso, tuttavia, il Consiglio di Stato che – in relazione ad un bando che prevedeva la gratuità di prestazioni professionali, sia pure accompagnata da una cospicua somma per il rimborso spese – ha ritenuto che «la ratio di mercato (… omissis..) di garanzia della serietà dell’offerta e di affidabilità dell’offerente, può essere ragionevolmente assicurata da altri vantaggi, economicamente apprezzabili anche se non direttamente finanziari, potenzialmente derivanti dal contratto.
La garanzia di serietà e affidabilità, intrinseca alla ragione economica a contrarre, infatti, non necessariamente trova fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale, che resti comunque a carico della Amministrazione appaltante: ma può avere analoga ragione anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca o si immagini vada ad essere generata dal concreto contratto» e che «l’utilità costituita dal potenziale ritorno di immagine per il professionista può essere insita anche nell’appalto di servizi contemplato dal bando qui gravato: il che rappresenta un interesse economico, seppure mediato, che appare superare – alla luce della ricordata speciale ratio – il divieto di non onerosità dell’appalto pubblico, e consente una rilettura critica dell’asserita natura gratuita del contratto di redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro»[4].
Se il criterio di delega sembra seguire la pronunzia appena richiamata è evidente che esso onera la stazione appaltante di procedere ad una puntuale e dettagliata individuazione dei casi eccezionali in cui sia possibile prevedere la gratuità delle prestazioni, che ci sia augura sia estremamente precisa, rifuggendo da ogni possibile genericità.
L’undicesimo criterio di delega – sub lett. m) – prevede una riduzione ed una certezza dei tempi relativi alle procedure di gara e alla stipula dei contratti, anche attraverso:
- l’adozione contratti-tipo predisposti dall’Autorità nazionale anticorruzione, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, relativamente ai contratti-tipo di lavori e servizi di ingegneria e architettura, e all’esecuzione degli appalti,
- la digitalizzazione e l’informatizzazione delle procedure,
- la piena attuazione della Banca dati nazionale dei contratti pubblici e del fascicolo virtuale dell’operatore economico,
- il superamento dell’Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici,
- il rafforzamento della specializzazione professionale dei commissari all’interno di ciascuna amministrazione,
- la riduzione degli oneri documentali ed economici a carico dei soggetti partecipanti, nonché di quelli relativi al pagamento dei corrispettivi e degli acconti dovuti in favore degli operatori economici, in relazione all’adozione dello stato di avanzamento dei lavori e allo stato di svolgimento delle forniture e dei servizi.
La predisposizione di contratti tipo a cura dell’ANAC era già prevista dal criterio sub lett. t) dell’art. 1, della legge 11 del 2016 ma tale strumento, se costituisce indubbiamente un utile ausilio per le stazioni appaltanti prive di un organico adeguato, rischia altresì di precludere quella “personalizzazione” di ciascun contratto che deve tener conto degli elementi di specificità che ogni rapporto presenta e che rischiano di essere ignorati ove ci si adagi sullo schema tipo.
Il dodicesimo criterio di delega – sub lett. n) – prevede la razionalizzazione e semplificazione della cause di esclusione allo scopo di rendere le regole di partecipazione chiare e certe, definendo – auspicabilmente – con precisione le fattispecie che integrano l’ipotesi di illecito professionale.
Il criterio coglie una forte esigenza degli operatori del settore in ragione della mancanza di una adeguata indicazione delle fattispecie che integrano l’illecito professionale, come testimoniato dal cospicuo contenzioso relativo all’art. 80 del d. lgs. n. 80 del 2016.
L’art. 22 del d. lgs. n. 50 del 2016 ha introdotto la partecipazione pubblica dei portatori di interessi e il dibattito pubblico e la relativa disciplina è stata dettagliata con il d.P.C.M. 10 maggio 2018, n. 76, mentre con decreto del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti del 30 dicembre 2020, n. 627 è stata istituita la Commissione nazionale per il dibattito pubblico sulle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale che ha l’obiettivo di rendere trasparente il confronto sulle opere pubbliche con i territori mediante procedure che assicurino il coinvolgimento delle comunità interessate; di migliorare la qualità delle progettazioni delle opere di grande rilevanza; di semplificare l’esecuzione dell’opera al fine di ridurre i possibili maggiori costi derivanti da contenziosi.
Evidentemente tali misure non sono state ritenute sufficienti se – con il tredicesimo criterio di collegamento, sub lett. o) – è stata prevista la revisione e semplificazione della normativa primaria in materia di programmazione, localizzazione delle opere pubbliche e dibattito pubblico, al fine di rendere le relative scelte maggiormente rispondenti ai fabbisogni della comunità, nonché di rendere più celeri e meno conflittuali le procedure finalizzate al raggiungimento dell’intesa fra i diversi livelli territoriali coinvolti nelle scelte stesse.
Il quattordicesimo criterio di delega – sub lett. p) – ribadendo sostanzialmente quanto già previsto dall’art. 24, comma 4, del d. lgs. n. 50 del 2016, dispone che in caso di affidamento degli incarichi di progettazione a personale interno della amministrazione debbano essere sottoscritte, con oneri a carico dell’amministrazione, apposite polizze assicurative per la copertura dei rischi di natura professionale.
Il quindicesimo criterio di delega – sub lett. q) – impone che il nuovo codice debba realizzare una semplificazione delle procedure relative alla fase di approvazione dei progetti in materia di opere pubbliche, anche attraverso la ridefinizione dei livelli di progettazione ai fini di una loro riduzione, lo snellimento delle procedure di verifica e validazione dei progetti e la razionalizzazione della composizione e dell’attività del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Il criterio tocca un punto nevralgico dell’intero iter di realizzazione dell’opera pubblica, poiché la progettazione è sempre stata il punto debole e praticamente tutti gli appaltatori – talvolta a torto, più spesso a ragione – lamentano carenze progettuali che costituiscono la causa giustificativa di richieste risarcitorie a volte anche di importo assai rilevante. C’è da augurarsi che la semplificazione delle procedure di approvazione dei progetti e lo snellimento delle procedure di verifica e validazione non si traducano in un ulteriore indebolimento della capacità progettuale e di verifica dei progetti delle opere.
Il sedicesimo criterio di delega – sub lett. r) – dispone che il nuovo codice – nel rispetto dei princìpi di trasparenza e concorrenzialità e tenuto conto delle esigenze di semplificazione richieste dalla specificità dei contratti nel settore della ricerca – debba definire la disciplina applicabile ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nell’ambito dei servizi di ricerca e sviluppo da parte degli organismi di ricerca e delle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, nonché la disciplina applicabile alle ipotesi di collaborazione tra organismi di ricerca.
Il diciassettesimo criterio di delega – sub lett. s) – dispone che il nuovo codice debba effettuare una revisione e semplificazione del sistema di qualificazione generale degli appaltatori, valorizzando criteri di verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, dell’adeguatezza dell’attrezzatura tecnica e dell’organico, delle attività effettivamente eseguite e del rispetto della legalità, delle disposizioni relative alla prevenzione antimafia, alla tutela del lavoro e alla prevenzione e al contrasto della discriminazione di genere, anche attraverso l’utilizzo di banche dati a livello centrale che riducano le incertezze in sede di qualificazione degli operatori nelle singole procedure di gara e considerando la specificità del settore dei beni culturali.
Il diciottesimo criterio di delega – sub lett. t) – prevede l’obbligo di individuare le ipotesi in cui le stazione appaltanti possono ricorrere ad automatismi nella valutazione delle offerte e di tipizzare i casi in cui i committenti possono aggiudicare l’appalto solo in base al prezzo o al costo, con la possibilità di escludere – per i contratti che non abbiano carattere transfrontaliero – le offerte anomale individuate con applicazione di metodi matematici, tenendo conto della specificità dei contratti nel settore dei beni culturali. In ogni caso, deve essere previsto che i costi della mano d’opera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso, formula che riprende quanto era previsto nella prima versione del codice dei contratti, approvata in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, nella quale l’ultimo periodo del citato art. 23, comma 16, prevedeva che «Il costo della manodopera e i costi della sicurezza sono scorporati dal costo dell’importo assoggettato al ribasso d’asta» mentre la versione finale del codice prevede che solo i costi della sicurezza siano scorporati dal costo dell’importo assoggettato al ribasso.
La materia è assai delicata: già l’art. 23, comma 16, penultimo periodo, del d. lgs. n. 50 del 2016 dispone che le stazioni appaltanti, nei contratti di lavori e servizi, al fine di determinare l’importo posto a base di gara, debbano indicare nei documenti posti a base di gara i costi della manodopera sulla base di quanto previsto nel suddetto comma 16 e, all’ultimo comma, dispone che solo i costi della sicurezza siano scorporati dal costo dell’importo assoggettato al ribasso. La giurisprudenza relativa a tale norma ha affermato che le tabelle ministeriali recanti il costo della manodopera assolvono a una funzione di parametro di riferimento, dal quale è possibile discostarsi sulla base, di adeguate giustificazioni[5]. Le ragioni di tali pronunce devono ravvisarsi nel fatto che in sede di stima dei costi occorrenti per la realizzazione dell’opera (o del servizio) quello relativo alla manodopera è un costo stimato, apprezzato in via astratta in quanto relativo ad una organizzazione aziendale “tipo” e non organizzazione specifica, atteso che la stazione appaltante non può individuare quali modalità organizzative e quali assetti produttivi particolari saranno adottati dai concorrenti.
Diverso è il discorso relativo all’art. 95, comma 10, del d. lgs. n. 50 del 2016 che impone ai concorrenti di indicare nell’offerta economica i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. In questo caso, infatti, è proprio l’organizzazione specifica che viene in considerazione, con conseguente indicazione precisa dei costi della sicurezza. Tuttavia, il d. lgs. n. 50 del 2016 non prevede espressamente che l’omessa indicazione del costo della mano d’opera sia sanzionato con l’esclusione dalla gara e, almeno in un primo momento, la giurisprudenza ha ritenuto che alla disposizione non dovesse essere attribuito carattere di norma imperativa con effetto escludente[6]
Diverso l’orientamento seguito dalla Corte di Giustizia che, chiamata a pronunziarsi sulla compatibilità comunitaria dell’art. 95, comma 10, del d. lgs. n. 50 del 2016 con le norme delle direttive regolanti gli appalti, ha affermato che la mancata indicazione dei costi della mano d’opera comporta l’esclusione dell’offerta, senza neanche la possibilità di ricorrere al soccorso istruttorio, sempreché tale possibilità di esclusione sia chiaramente prevista dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata dalla documentazione di gara[7]. Tale orientamento è stato condiviso dal Consiglio di Stato che ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia ed ha affermato che «La stessa decisione della Corte è stata peraltro già impiegata come canone interpretativo per la soluzione di analoghe vicende, sia dalle Sezioni di questo Consiglio di Stato (si veda Cons. Stato, V, 24 gennaio 2020, n. 604; id., V, 10 febbraio 2020 n. 1008) che dal giudice di prime cure (T.A.R. Lazio, 14 febbraio 2020 n. 1994, data nel giudizio che aveva originato quella rimessione alla CGUE).
In queste occasioni, affermata la dichiarata compatibilità con il diritto europeo degli automatismi espulsivi conseguenti al mancato rispetto delle previsioni di cui all’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici, le questioni residue sono state rivolte unicamente a delineare la portata dell’eccezione alla regola dell’esclusione automatica, collegata all’accertamento in fatto della possibilità di indicare le voci stesse nei modelli predisposti dall’amministrazione», per poi concludere per l’illegittimità della mancata espulsione dalla gara del concorrente che aveva omesso di indicare i costi del personale[8].
Senza addentrarci nella successiva elaborazione giurisprudenziale, la pronunzie appena indicate confermano pienamente la delicatezza della questione e la particolare attenzione che dovrà essere posta nell’attuazione del criterio di delega appena illustrato.
Il diciannovesimo criterio di delega – sub lett. u) – riguarda la ridefinizione della disciplina delle varianti in corso d’opera, nei limiti previsti dall’ordinamento europeo, in relazione alla possibilità di modifica dei contratti durante la fase dell’esecuzione.
È auspicabile che nell’attuazione di tale criterio di delega ci si sottragga alla tentazione di inserire in un unico articolo tutte le possibili modifiche dei contratti, dalle varianti relative all’oggetto dell’appalto, alla revisione dei prezzi, alle modifiche soggettive quali quelle conseguenti al subentro per effetto di operazioni di ristrutturazione societaria o di insolvenza, evitando così di riprodurre – ma è davvero difficile fare peggio – una disposizione analoga all’art. 106 del d. lgs. n. 50 del 2016 che costituisce una delle norme peggio riuscite dell’intero codice.
Il ventesimo criterio di delega – sub lett. v) – sollecita l’esecutivo alla revisione della disciplina relativa ai servizi sociali e della ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché a quelli di servizio ad alta intensità di manodopera, per i quali i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti devono contenere la previsione di specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo come criterio utilizzabile ai fini dell’aggiudicazione esclusivamente quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Peraltro, la necessità che i bandi, gli avvisi e gli inviti debbano contenere clausole sociali era già desumibile dal criterio di delega sub lett. h).
Il ventunesimo criterio di delega – sub lett. z) – sollecita un forte incentivo al ricorso a procedure flessibili, quali il dialogo competitivo, il partenariato per l’innovazione, le procedure per l’affidamento di accordi quadro e le procedure competitive con negoziazione, per la stipula di contratti pubblici complessi e di lunga durata, garantendo il rispetto dei princìpi di trasparenza e di concorrenzialità.
Il ventiduesimo criterio di delega – sub lett. aa) – si apre con alcune parole magiche che ricorrono frequentemente nella legge di delega: “semplificazione” – che ricorre dieci volte – e razionalizzazione, che ricorre sette volte, questa volta applicate alla diffusione delle forme di partneriato pubblico-privato, con particolare riguardo alle concessioni di servizi, alla finanza di progetto e alla locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità, anche al fine di rendere tali procedure effettivamente attrattive per gli investitori professionali, oltre che per gli operatori del mercato delle opere pubbliche e dell’erogazione dei servizi resi in concessione, garantendo la trasparenza e la pubblicità degli atti.
Il ventitreesimo criteriodi delega – sub lett. bb) – impone una precisa individuazione delle cause che giustifichino contratti segretati o che esigano particolari misure di sicurezza e una specificazione delle modalità di attuazione.
Il ventiquattresimo criterio di delega – sub lett. cc) – sollecita l’esecutivo ad effettuare una revisione del sistema delle garanzie per la partecipazione alle gare e per l’esecuzione dei contratti, omogeneizzando la disciplina dei settori ordinari e quella dei settori speciali e, indicazione innovativa si deve presumere volta ad evitare agli operatori economici i relativi oneri finanziari, prevedendo la possibilità di sostituire la garanzia mediante una ritenuta proporzionata all’importo del contrato, in occasione di ogni stato di avanzamento. Ovviamente, si deve ritenere che tale possibilità sia relativa alla sola garanzia di buona esecuzione dell’appalto e sarà indispensabile disciplinare puntualmente quando la stazione appaltante potrà avvalersi di essa.
Il venticinquesimo criterio di delega – sub lett. dd) – impone all’esecutivo di indicare quali contratti pubblici siano sottratti all’ambito oggettivo di operatività delle direttive e di procedere alla semplificazione della disciplina giuridica ad esse applicabile.
Il ventiseiesimo criterio di delega – sub lett. ee) – obbliga l’esecutivo ad indicare in quali ipotesi le stazione appaltanti posano ricorrere all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori, salvaguardando la necessità di una qualificazione per la redazione del progetto e l’obbligo di indicare nei documenti di gara o negli inviti le modalità di corresponsione diretta al progettista del compenso corrispondente agli oneri di progettazione, indicati dall’Operatore economico in sede di gara, al netto del ribasso.
Tale principio, sostanzialmente, replica quanto previsto dall’art. 59, comma 1 quater del d. lgs. n. 50 del 2016 – come modificato ed integrato per effetto dell’art. 1, comma 20, lett. m), n. 2), D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 giugno 2019, n. 55, ai sensi del quale «nei casi in cui in cui l’operatore economico si avvalga di uno o più soggetti qualificati alla realizzazione del progetto, la stazione appaltante indica nei documenti di gara le modalità per la corresponsione diretta al progettista della quota del compenso corrispondente agli oneri di progettazione indicati espressamente in sede di offerta, al netto del ribasso d’asta, previa approvazione del progetto e previa presentazione dei relativi documenti fiscali del progettista indicato o raggruppato».
Il ventisettesimo criterio di delega – sub lett. ff) – introduce il principio del divieto dei contratti di concessione, fatti salvi i principi di affidamento in house e – probabilmente anche sulla scorta delle recenti, tragiche, esperienze, impone la «razionalizzazione della disciplina sul controllo degli investimenti dei concessionari e sullo stato delle opere realizzate, fermi restando gli obblighi dei concessionari sulla corretta e puntuale esecuzione dei contratti, prevedendo sanzioni proporzionate all’entità dell’inadempimento, ivi compresa la decadenza in caso di inadempimento grave».
Il ventottesimo criterio di delega – sub lett. gg) – prevede:
- la razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento dei contratti da parte dei concessionari, anche al fine di introdurre una disciplina specifica per i rapporti concessori riguardanti la gestione di servizi e, in particolare, dei servizi di interesse economico generale;
- in relazione alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dal comma 1 dell’art. 1, della legge n. 78 del 2022, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, con specifico riguardo alle situazioni nelle quali sussiste l’obbligo, secondo criteri di gradualità e proporzionalità e tenendo conto delle dimensioni e dei caratteri del soggetto concessionario, dell’epoca di assegnazione della concessione, della sua durata, del suo oggetto e del suo valore economico, l’obbligo di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, parte dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle medesime concessioni, garantendo la stabilità e la salvaguardia delle professionalità del personale impiegato.
Il ventinovesimo criterio di delega – sub lett. hh) – riguarda l’esecuzione dei contratti ed impone all’esecutivo di razionalizzare la disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali finalizzati ad incentivare la tempestiva esecuzione dei contratti pubblici.
Anche il trentesimo criterio di delega – sub lett. ii) – riguarda l’esecuzione dei contratti e sollecita una semplificazione e una accelerazione delle procedure di pagamento del corrispettivo contrattuale da parte della stazioni appaltanti, riducendo gli oneri amministrativi a carico delle imprese.
Infine, il trentaduesimo criterio di delega – sub lett. ll) – prevede l’estensione e il rafforzamento dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al ricorso al contenzioso. Presumibilmente sarà l’occasione non solo per disciplinare nuovamente il collegio consultivo tecnico – altrimenti destinato a venir meno il 30 giugno 2023, con la scadenza del termine di efficacia dell’art. 6 del d. l. n. 76 del 2020 – ma anche di chiarire i rapporti tra detto collegio e gli altri rimedi alternativi al contenzioso, quali, ad esempio, la procedura di accordo bonario o l’accertamento tecnico preventivo con finalità conciliative.
Al termine di tale estenuante lettura dei criteri di delega contenuti nell’art. 1, della legge 21 giugno 2022, n. 78 si ha la sensazione di essere in una situazione idilliaca, ove la strada verso il codice è lastricata di buone intenzioni che, tuttavia, sovente, portano all’inferno e non ove ci si attendeva di giungere percorrendola.
Il nostro legislatore – anche delegato – ha troppe volte dato cattiva prova di se e nulla autorizza a pensare che in questa occasione i risultati saranno diversi.
Con l’ottimismo della volontà si deve necessariamente confidare nella qualità dei componenti del gruppo chiamato a redigere materialmente l’articolato, sebbene l’esiguità del tempo realmente disponibile per scrivere le varie norme e la indispensabile necessità di un ferreo coordinamento tra di esse – esigenza tanto più forte quanto più ampio sarà il numero delle persone chiamate a redigere l’articolato dei decreti legislativi – non induce certamente all’ottimismo.
Saremmo felici di essere smentiti, ma temiamo fortemente che ciò non ci sarà consentito.
Ove il nuovo codice dovesse anche solo assomigliare al d. lgs. n. 50 del 2016, non solo un’altra occasione sarebbe stata sprecata, ma – quel che è peggio – verrebbero esaltate vieppiù le difficoltà di un settore di fondamentale importanza per l’economia nazionale[9].
Paolo Carbone
[1] https://www.politicheeuropee.gov.it/it/attivita/procedure-dinfrazione/stato-delle-infrazioni/infrazioni-6-aprile-2022/
[2] Con la costituzione in mora relativa alla infrazione 2018/2073 «la Commissione ha individuato disposizioni non conformi in diversi articoli del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, contenente il codice dei contratti pubblici e modificato dal decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56» e precisamente:
«A) Violazione dell’articolo 5, paragrafo 8, primo comma, e dell’articolo 5, paragrafo 9, primo comma, della direttiva 2014/24/UE nonché dell’articolo 16, paragrafo 8, primo comma, e dell’articolo 16, paragrafo 9, primo comma, della direttiva 2014/25/UE; B) Violazione dell’articolo 5, paragrafo 8, secondo comma, della direttiva 2014/24/UE in relazione alle opere di urbanizzazione;
Violazione di norme riguardanti i motivi di esclusione A) Violazione dell’articolo 38, paragrafo 5, secondo comma, della direttiva 2014/23/UE e dell’articolo 57, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2014/24/UE; B) Violazione dell’articolo 57, paragrafo 4, lettera g), della direttiva 2014/24/UE e dell’articolo 38, paragrafo 7, lettera f), della direttiva 2014/23/UE;
Violazione di norme riguardanti il subappalto e l’affidamento sulle capacità di altri soggetti A) Divieto di subappaltare più del 30% di un contratto pubblico; B) Obbligo di indicare la terna di subappaltatori proposti; C) Divieto per un subappaltatore di fare a sua volta ricorso ad un altro subappaltatore; D) Divieto per il soggetto sulle cui capacità l’operatore intende fare affidamento di affidarsi a sua volta alle capacità di un altro soggetto; E) Divieto i) per diversi offerenti in una determinata gara di fare affidamento sulle capacità dello stesso soggetto, ii) per il soggetto sulle cui capacità un offerente intende fare affidamento di presentare un’offerta nella stessa gara e iii) per l’offerente in una determinata gara di essere subappaltatore di un altro offerente nella stessa gara; F) Divieto per gli offerenti di avvalersi delle capacità di altri soggetti quando il contratto riguarda progetti che richiedono “opere complesse”;
Violazione di norme riguardanti le offerte anormalmente basse».
Se, parte delle contestazioni in materia di subappalto sono state risolte in ragione delle modifiche apportate alla relativa disciplina, sulla quale rinvio al mio saggio Le modifiche alla disciplina del subappalto apportate con il d. l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni nella legge 29 luglio 2021, n. 108, in Riv. Trim. Appalti, 2022, 23 e ss., è evidente che i redattori del nuovo codice dovranno tener conto non solo le divergenze espressamente contestate al nostro Paese, ma anche tutte le pronunzie della Corte di Giustizia che abbiano individuato non conformità della disciplina nazionale alle regole comunitarie.
[3] Cass. civ. Sez. V, 28 ottobre 2015, n. 21972, in https://www.studiolegale.leggiditalia.it,
[4] Così Cons. Stato, sez. V, 3 ottobre 2017, n. 4614, in www.giustizia-amministrativa.it
[5] In tal senso, TAR Puglia, Lecce, sez. II, 24 febbraio 2022, n. 332, in www.giustizia-amministrativa.it; conforme T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 11/02/2022, n. 398, ivi, e Consiglio di Stato, sez. III, 11 febbraio 2022, n. 997, ivi, ha statuito che in tema di offerta nelle gare pubbliche lo scostamento dalle tabelle ministeriali non è di per sé indice di anomalia, se non quando detto scarto sia rilevante o significativo, per cui solo una discordanza considerevole e palesemente ingiustificata dalle tabelle può costituire indice di anomalia. Infatti, occorre che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata, alla luce di una valutazione globale e sintetica, espressione di un potere tecnico-discrezionale insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza non renda palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta. La medesima sentenza ha altresì affermato che in materia di appalti pubblici nel nuovo sistema delineato, il costo del lavoro, da costo incomprimibile da non assoggettare al mercato, è divenuto componente dell’offerta soggetta a verifica di congruità. Pertanto, l’esclusione ex ante dal ribasso dell’importo del costo del lavoro, previamente determinato dall’amministrazione, collide con il principio di libera concorrenza.
[6] Ha affermato il TAR Emilia Romagna, Bologna, 1° marzo 2018, n. 193, in www.giustizia-amministrativa.it, che «L’interpretazione letterale e logica della norma (n.d.r. art. 23, comma 16, d. lgs. n. 50 del 2016) significa che <soltanto i costi della sicurezza> devono essere scorporati dall’importo assoggettato al ribasso d’asta e che i costi della manodopera devono essere soltanto individuati dalla stazione appaltante al fine dell’eventuale controllo dell’anomalia.
Si osserva poi ulteriormente che :
a). ex art. 23 comma 16 del DLGS 50/2016 “solo” i costi della sicurezza devono essere scorporati e non sono soggetti a ribasso; i costi della manodopera devono essere indicati ma non sono soggetti allo scorporo né tantomeno al divieto di ribasso;
b). la mancata indicazione costituisce difetto solo formale e non è sanzionabile con la esclusione in nome del favor partecipationis;
c). l’art. 95 comma 10 prevede il dovere di indicare i costi della manodopera (e non lo scorporo) e quelli della sicurezza ma la loro mancata indicazione (di quelli della manodopera) non può condurre alla esclusione».
[7] La Corte di giustizia, sez. IX, sentenza C-309-18, in www.curia.europa.eu, ha infatti affermato che «I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice».
[8] Consiglio di Stato, Ad. Plen. 2 aprile 2020, n. 8, in www.giustizia-amministrativa.it
[9] Secondo il sito https://italiaindati.com/edilizia-e-costruzioni-in-italia/ «stando ai dati del 2020, il comparto dell’edilizia e delle costruzioni e il suo indotto rappresenta in Italia oltre il 6% dell’occupazione e il 4,5% del PIL» mentre secondo l’analisi del Centro Studi ANCE, presentata a Roma il 23 febbraio 2022 e riportata sul sito https://ance.it/2022/02/osservatorio-un-terzo-della-crescita-del-pil-nel-2021-e-grazie-alle-costruzioni/ «Dopo la pandemia e anni di bassa crescita l’Italia è tornata ad essere tra i principali Paesi Ue in termini di sviluppo, un risultato ottenuto soprattutto grazie al settore delle costruzioni che ha rappresentato oltre un terzo della crescita del Pil del +6,5% nel 2021. Gli investimenti nel settore infatti sono cresciuti del +16,4% nel 2021 con numeri da record: produzione +24,3%, occupazione +11,8%, ore lavorate +26,7%».